LICENZIAMENTO ORALE

Il Tribunale di Foggia con sentenza n. 1240 del 25 marzo 2022 ha ribadito il principio ormai consolidato che è in capo al lavoratore la prova della sussistenza di un licenziamento verbale; ossia che la risoluzione del rapporto di lavoro sia ascrivibile alla volontà datoriale, seppur manifestata con comportamenti concludenti. Non è pertanto sufficiente la prova della mera cessione dell’esecuzione della prestazione lavorativa.
In mancanza di tale prova, alla luce della prolungata assenza dal posto di lavoro, il rapporto può intendersi cessato per dimissioni volontarie rassegnate per facta conclidentia, anche nel sistema normativo attuale che prevede l’obbligo di trasmissione telematica delle dimissioni.

LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO

Il Tribunale di Venezia con sentenza n. 647 del 29 ottobre 2021 ha statuito che è escluso dal cc.dd. “blocco dei licenziamenti” imposto dalla normativa emergenziale il licenziamento per superamento del periodo di comporto. Non è infatti possibile in assenza di uno specifico richiamo all’art. 2110 cc interpretare estensivamente il DL 46/2020 fino a ricomprendere in esso anche tale fattispecie.
Il “blocco dei licenziamenti” è stato normativamente previsto durante il periodo emergenziale per contenere gli effetti negativi che la pandemia stava producendo sul sistema socio-economico, mantenendo così i livelli occupazionali. Tale esigenza non si rinviene però nell'ipotesi di recesso per superamento del periodo di comporto, circostanza che potrebbe verificarsi anche prescindendo dall'epidemia di Covid-19.

INSUSSISTENZA DEL FATTO

La Corte di Cassazione con ordinanza n. 9158 del 21 marzo 2022 ha ribadito che il licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica senza adibire il lavoratore a mansioni compatibili con il suo stato di salute integra l’ipotesi di difetto di giustificazione suscettibile di reintegra ai sensi dell’art. 18 dello statuto deli lavoratori, così come modificato dalla l. 92/2012.

MANCATO RINNOVO DEL CONTRATTO A CAUSA DELL’ORIENTAMENTO SESSUALE

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 31071 del 02.11.2021 ha affermato che le organizzazioni religiose e di tendenza non possono invocare la loro libertà di organizzazione nel caso di decisioni palesemente discriminatorie.
In particolare i giudici precisano che il diritto antidiscriminatorio non può declinarsi tenendo conto delle libertà di organizzazione riconosciute alle organizzazioni religiose e di tendenza, in quanto l’esercizio di alcun diritto può comportare e giustificare la lesione dei diritti inviolabili e fondamentali della persona, tra i quali la dignità umana.
Pertanto, la Corte di Cassazione ha confermato il carattere discriminatorio dell’istituto scolastico religioso che non aveva rinnovato il contratto di lavoro ad un professore per il proprio orientamento scolastico.
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LICENZIAMENTO RITORSIVO E ONERE DELLA PROVA

Il Tribunale di Milano con la sentenza n. 2798/2021 ha ribadito la nullità del licenziamento ritorsivo a condizione che il motivo ritorsivo sia stato l’unico motivo determinante il recesso del datore di lavoro. È onere del lavoratore, dunque, provare rigorosamente l’intento ritorsivo del datore di lavoro. In tali casi il lavoratore è tenuto non solo a provare l’esistenza di un motivo ritorsivo, che sia stato l’unico a determinare il recesso datoriale dal contratto in essere.

OFFESE A DIPENDENTE E REATO DI MALTRATTAMENTI

La corte di Cassazione con la sentenza n. 2378/2022 ha affermato che la condotta del datore di lavoro che offende pubblicamente il proprio dipendente (ossia alla presenza dei colleghi e/o clienti) ledendo così la sua dignità e reputazione integra la fattispecie del reato di maltrattamenti.

ASSENZA PER COVID E PERIODO DI COMPORTO

Il Tribunale di Palmi con l’ordinanza del 13.01.2022 nonché il Tribunale di Asti con ordinanza del 05.01.2020 hanno affermato che il periodo di quarantena o di isolamento fiduciario non è computabile ai fini del comporto, in quanto i lavoratori in tali casi sono impossibilitati per legge a rendere la propria prestazione lavorativa a prescindere dalla comparsa o meno dei sintomi legali alla malattia da Covid-19.
Pertanto, il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto è illegittimo.

LICENZIAMENTO E PRINCIO DI TEMPESTIVITA’

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2869 del 31.01.2022 ha ribadito che l’immediatezza del licenziamento rispetto alla condotta tenuta dal lavoratore e censurata è un elemento costitutivo del diritto al recesso. Infatti, la tardività della contestazione induce il lavoratore a presumere che il datore di lavoro non ritenga grave la condotta tenuta. È onere del datore di lavoro dare prova dei motivi per i quali non ha contestato tempestivamente il fatto addebitato.
Nel caso di specie, la Corte ha confermato l’illegittimità dei licenziamenti irrogati nell’anno 2016 per condotte tenute nell’anno 2013.

IN TEMA DI LICENZIAMENTO

La Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 31.01.2022 ha ribadito che la contestazione disciplinare deve essere valutata in modo autonomo rispetto ad eventuali imputazioni penalistiche. Pertanto, il giudicato relativo al procedimento penale ha effetto preclusivo nel procedimento civile promosso dal lavorato per impugnazione del licenziamento solo nel caso in cui la sentenza penale accerti l’insussistenza del fatto oppure la non partecipazione del lavoratore al fatto addebitato.
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UTILIZZABILITA’ DELLA CHAT AZIENDALE

La Corte di Cassazione ha ribadito nella sentenza n. 25731/2022 che la chat aziendale è da qualificarsi ai sensi dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori quale strumento di lavoro, essendo funzionale alla prestazione lavorativa
Ne consegue che le informazioni ivi presenti sono inutilizzabili dal datore di lavoro ai fini disciplinare, ex art. 4 comma 3 Statuto Lavoratori in mancanza di preventiva e adeguata informazione.

CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE E DECADENZA DALL’AZIONE

Il Tribunale di Roma con la sentenza n. 8974 del 03.06.2021 ha precisato che il dies a quo da assumere come riferimento per la decorrenza del termine di decadenza previsto dall’art. 32, comma 4, lett. D) L 183/2020 deve essere individuato nel momento di cessazione del rapporto di lavoro, in altre parole, nel momento in cui cessa in maniera definitiva lo svolgimento della prestazione resa a favore dello stesso. Il Tribunale di Roma evidenzia inoltre che è onere del datore di lavoro fornire la prova della genuina intermediazione.

IN TEMA DI APPRENDISTATO

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15949 del 2021 ha precisato che l’inadempimento degli obblighi formativi comporta la trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato fin dall’inizio del rapporto.
Tale inadempimento, però, deve concretizzarsi nella totale mancanza di formazione, sia teorica che pratica ovvero in una carente e/o inadeguata attività formativa rispetto agli obiettivi previsti nel progetto di formazione. Pertanto, nel caso in cui l'inadempimento abbia un'obiettiva rilevanza e l'inosservanza degli obblighi di formazione sia tale da non poter essere sanata in modo da consentire la formazione del giovane nel tempo stabilito, si giustifica la declaratoria di trasformazione del rapporto.

INATTIVITA’ LAVORATORE E DEMANSIONAMENTO

La Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 32982/2019 ha affermato che il comportamento del datore di lavoro che lascia in condizione di inattività il dipendente non solo viola l’art. 2103 c.c., ma è al tempo stesso lesivo del fondamentale diritto al lavoro nonché dell’immagine e professionalità del dipendente.
La Corte con tale provvedimento introduce la possibilità di provare tale danno derivato dal demensionamento anche a mezzo presunzioni. Infatti, anche dopo la nuova normativa delle mansioni introdotta dal Jobs Act e con la Riforma del Collegato Lavoro, il datore di lavoro non detiene il potere di demansionare o dequalificare un lavoratore ad libitum.

VALIDITA’ TERMINE NEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

La Corte di Cassazione nel provvedimento n 12499/2000 ha ribadito la natura imperativa della norma di cui all’art. 3, D.Lgs. n. 368/2001 che sancisce il divieto di stipulare contratti di lavoro subordinato a termine per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. La ratio di tale norma è diretta alla protezione dei lavoratori rispetto ai quali la flessibilità d’impiego che riduce la familiarità con l’ambiente e gli strumenti di lavoro.
Ne consegue che nel caso in cui il datore di lavoro non provi di aver adempiuto a tale obbligo, la clausola di apposizione del termine è nulla. Tale norma, pertanto, pone un ulteriore requisito per la validità dei contratti a tempo determinato.