I REATI DI GRUPPO: L’IMPUTABILITÀ DEL MINORENNE E IL CONCORSO EVENTUALE DI PERSONE NEL REATO di Christian Serpelloni

Il tema dei reati di gruppo commessi da minorenni, e quindi dell’ accertamento della responsabilità dei singoli partecipanti ad un fatto illecito collettivo, oltre alle consuete complessità interpretative e applicative attinenti alla disciplina di fattispecie a concorso necessario ed eventuale, implicita ulteriori criticità connesse all’età dei concorrenti, alla relativa capacità degli stessi di resistere ai condizionamenti operati dall’ambiente esterno, nonché all’influenza derivante dalla appartenenza ad un gruppo sull’agire del singolo.  Nel presente contributo, per ragioni di sinteticità, verranno affrontati, senza pretesa alcuna di esaustività, alcuni aspetti attinenti al solo concorso volontario di persone minorenni nel reato.

Come evidenziano le scienze sociali[1] affinché la fisiologica propensione degli adolescenti alla aggressività si possa trasformare in comportamenti antisociali, penalmente rilevanti, è necessaria la presenza di molteplici fattori di rischio, alcuni  individuali ed interni, presenti fin dalla nascita, (impulsività, intolleranza alle frustrazioni, fragilità emotiva, difficoltà ad elaborare cognitivamente gli stimoli) e sviluppati in assenza di un  fattore familiare in grado di gestire i tratti negativi derivanti dagli stessi, altri invece di origine esterna, quali per esempio l’influenza del gruppo sulla personalità del singolo minore.

 È noto che il gruppo rappresenta per un adolescente una esperienza particolarmente rilavante, in quanto attraverso esso il ragazzo o la ragazza raggiungono una maggiore autonomia, una nuova identità sociale. Peraltro lo stesso, se deviante, può rappresentare anche un particolare fattore di rischio, nei confronti di persone in formazione.

La comune esperienza insegna che un adolescente ultraquattordicenne (la cui capacità di intendere e volere non ha ancora raggiunto la sua completezza, e tra i 14 e 18 anni deve essere sempre accertata)  può certamente essere in grado di valutare i rischi dei suoi comportamenti, ma qualora si trovi collocato all’interno di un gruppo, l’incapacità di resistere alla forza attrattiva dello stesso, la necessità di mostrare indipendenza dai genitori, coraggio e lealtà al gruppo stesso, lo possono indurre a non essere in grado di valutare scientemente i pericoli che corre nel seguire le condotte devianti, poste in essere dall’aggregazione nella quale è inserito, ponendo in essere  degli agiti solo  in quanto non in grado di resistere alla vis attractiva del consesso del quale fa parte.

 Tutte queste circostanze, sotto il profilo giuridico, vanno quindi coniugate con la disciplina dell’imputabilità del minore e del concorso eventuale di persone nel reato.

Come noto, il codice Rocco in tema di imputabilità non ha considerato le “le  peculiarità” dell’autore di reato minorenne.[2] Infatti all’art.98 c.p., si limita a statuire che il minore di età compresa tra i 14 e i 18 anni è imputabile se “ha capacità di intendere e volere; ma la pena è diminuita”. In sostanza si è utilizzata la medesima categoria sistematica dell’imputabilità per adulti, con i relativi concetti di capacità di intendere e volere che dovrà comunque essere accertata, salvo accordare al minorenne uno sconto di pena. Tale scelta, pur evidenziando la presa d’atto che la capacità di intendere e volere, se riferita a minori è nozione concettualmente diversa rispetto a quella utilizzata per gli adulti (del resto la formulazione dell’art 98 cp. lascia al giudicante l’apprezzamento circa la presenza nel minore delle predette capacità, in ragione del fatto che il processo di maturazione è graduale e non ha per tutti gli stessi tempi) è particolarmente avversata, forse non a torto, da una parte della dottrina penalistica, la quale sottolinea come su di un istituto così rilevante non si sia operata una sufficiente differenza “concettuale” tra adulti e minori. Le scelte legislative in tema di imputabilità minorile, sono state in parte corrette dalla prassi, attraverso l’elaborazione del concetto di maturità o per converso di immaturità. Senza percorrere la lunga evoluzione del richiamato istituto di natura giurisprudenziale, ad oggi può affermarsi che la valutazione relativa all’accertamento della maturità del minorenne presuppone un paradigma integrato, così come richiamato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 17661 del 15.04.2010. Ciò che infatti dovrà essere considerato, ai fini dell’accertamento della maturità dell’imputato, sono tutti i fattori correlati alle condizioni socio ambientali del minorenne, al grado di istruzione e di educazione raggiunta dallo stesso, alla natura del reato commesso; al comportamento contemporaneo, antecedente e successivo al fatto, nonché all’età del minore al momento della commissione del fatto medesimo. Del resto le stesse neuroscienze ci dicono che “il comportamento delle persone non dipenda solo dal loro livello di maturazione cerebrale, in considerazione del fatto che ciò che fa la differenza a livello comportamentale è l’ambiente e il contesto di vita che permette al singolo giovane di crescere più o meno velocemente”[3]. Tale disciplina, i cui principi di diritto sono stati forniti dall’attività di nomofilachia del Supremo Collegio, qualora si verta in tema di reati di gruppo, dovrà necessariamente coniugarsi con l’istituto del concorso eventuale di persone nel reato.

E’ noto che il nostro legislatore, in tema di concorso eventuale di persone nel reato, sia in quelli mono soggettivi che in quelli plurisoggettivi, ha introdotto una norma generale (art 110 c.p.) che prevede la punibilità di tutti i concorrenti, senza distinguere tra le modalità di partecipazione di ciascuno, salvo la graduazione della pena operata da altre norme codicistiche, in ragione del contributo concreto del singolo nella causazione dell’intero reato.  Sotto il profilo teleologico, l’art 110 cp. ha una  funzione estensiva delle disposizioni  previste dai  singoli reati, in quanto, se è pacificamente possibile punire la condotta di più soggetti che compiano ciascuno per intero l’azione tipizzata dalla norma incriminatrice, in assenza della funzione estensiva operata dall’art 110 cp, non vi sarebbe la possibilità,  in ragione del  principio di legalità, di sanzionare coloro i quali, pur avendo una responsabilità nella causazione del fatto tipico, pongano in essere una condotta non corrispondente a quella tipizzata nella norma, per incompletezza  o per  atipicità (ad es: chi da remoto disattiva un sistema di allarme, per conto di colui il quale poi compirà una rapina, senza partecipare alla rapina stessa). E’ facile quindi comprendere il perchè il concorso eventuale di persone nel reato è un istituto oggetto di ampio dibattito. Se si pone mano alla relazione accompagnatoria al progetto di legge in subjecta materia si apprende che la norma (art 110 cp) risulta ispirata a due principi fondamentali: determinatezza e colpevolezza. Nella realtà l’art. 110 c.p. evita di specificare cosa sia il concorso e quando si realizzi eludendo, in tal modo, il problema della analitica distinzione delle varie tipologie di partecipazione (rinunciando quindi al modello differenziato). Appaiono quindi chiare le criticità che possono discendere da questo modello normativo applicato a persone minori di età. La prevalente tesi giurisprudenziale prevede che la partecipazione al delitto si realizzi con un comportamento esteriore in grado di contribuire in modo apprezzabile al reato o che comunque agevolino l’operazione criminale o rafforzino la possibilità di realizzare il reato stesso. Secondo una consolidata tesi giurisprudenziale l’azione è unica e sta a carico di ciascun concorrente (teoria monistica unitaria), il quale risponde non solo degli atti da lui compiuti, ma anche di quelli commessi dagli altri, se diretti al fine concordato (Cass 7513/1991).

In realtà le numerose sentenze che pongono i criteri distintivi tra il concorso di persone nel reato e la connivenza non punibile danno il senso di quanto il dibattito sia ancora molto aperto. Naturalmente affinché il reato possa dirsi commesso in concorso, occorre individuare il contributo prestato da ogni concorrente, questione sicuramente non semplice da affrontare quando non può attribuirsi a nessuno il totale compimento dell’azione tipica. In sostanza ci si dovrà interrogare se, con riferimento alle condotte meno rilevanti, debba ritenersi l’azione del singolo come assolutamente necessaria ai fini della realizzazione dell’evento, ovvero se sia sufficiente che le stesse condotte, considerate ex post, anche se prive di qualsiasi utilità nella realizzazione del reato, apparissero, agli occhi degli altri concorrenti nella fase ideativa dell’illecito, come necessarie. La prevalente tesi giurisprudenziale, nel caso di concorso materiale nel reato, ritiene che il requisito minimo non sia quello di una vera e propria efficacia causale, ma quello di un “contributo agevolatore”, per inferirne che risulta sufficiente, per la contestazione concorsuale, qualsiasi forma di contribuzione che abbia anche una semplice funzione di facilitare e soprattutto di concorrere volontariamente alla esecuzione del reato. In sostanza secondo la tesi giurisprudenziale oggi dominante, il contributo agevolatore, è quello che pur non essendo conditio sine qua non per la realizzazione del reato, abbia comunque, non importa come, rafforzato il proposito, o semplificato l’esecuzione, o agevolato l’opera dei concorrenti aumentando in tal modo la probabilità di commissione dell’illecito penale (Cass.VI n.36818/2012) Il concorrente morale invece fornisce il suo contributo nella fase della ideazione e programmazione, quindi una fase antecedente a quella della commissione del reato, andando a determinare, ovvero concorrendo a determinare o rafforzare la decisione di commettere un crimine, indicando i mezzi per realizzare il reato ovvero fornendo assistenza e aiuto prima o dopo la consumazione dello stesso. Trattandosi poi di una concreta influenza psicologica, l’esecutore dovrà essere consapevole dell’altrui apporto. In sostanza, secondo la costante lectio giurisprudenziale, rimasta sostanzialmente immutata negli anni, sarà necessario individuare a quali condizioni si possa ritenere che l’autore sia stato influenzato, o agevolato dal concorrente morale, ricercando il rapporto di causalità efficiente tra attività incentivante del concorrente morale e quella posta in essere dall’autore materiale del reato (Cass. III, n. 7845/1983). Come noto il limite del concorso, soprattutto morale, sono quelle condotte che rappresentano solo una mera adesione psichica, una mera connivenza o accettazione del reato compiuto da terzi[4]. Affrontando il tema dell’elemento psicologico del reato plurisoggettivo si apprende che esso è costituito da due elementi: coscienza e volontà del fatto criminoso e volontà di concorrere con altri alla realizzazione di un reato. Il dolo di concorso quindi richiede la consapevole partecipazione alla azione comune. Come noto le Sezioni Unite (S.U 31/2001) hanno chiarito come il dolo di concorso debba consistere anche nella semplice coscienza del contributo dato alla condotta altrui, pur quando quest’ultimo o quest’ultimi non venga o vengano a conoscenza di tale contributo. Per inferirne che non è richiesto il previo accordo o la reciproca consapevolezza del concorso.[5]

Tale quadro normativo, relativo agli istituti dell’imputabilità e del concorso di persone del reato, trova ovviamente applicazione anche ai reati di gruppo commessi da soggetti minori di età. Peraltro affinché si tratti di una applicazione costituzionalmente orientata, è necessario che ogni qual volta si debba valutare la responsabilità del singolo minore, relativamente ad un reato commesso in un contesto di gruppo, si debbano tenere in particolare considerazione le caratteristiche del gruppo di minori con il quale il singolo ha/avrebbe commesso il reato. Una recente ricerca, condotta dall’Università Cattolica di Milano, di concerto con il Ministero della Giustizia e dell’Interno, ha fornito interessanti dati al fine di comprendere il fenomeno delle aggregazioni giovanili devianti in Italia.[6]Dal menzionato studio si ricava che nella preponderante maggioranza dei casi tali aggregazioni, dedite ad attività violente o devianti anche se non necessariamente criminali, non hanno una struttura stabile, sono composte principalmente da minorenni, ma anche da giovani adulti e non sempre vi è una struttura organizzativa di tipo gerarchico con presenza di simboli o denominazioni identificative.  Qualora quindi si voglia correttamente valutare la responsabilità concorsuale di un minorenne che commetta un reato “in un contesto di gruppo”, si dovrà tenere conto di molteplici fattori, al fine di non cadere nell’errore di considerare la semplice frequentazione del minore al gruppo come elemento sufficiente per ritenerlo responsabile, a titolo di concorso, dell’azione o delle azioni realizzate dall’aggregazione della quale fa parte.

L’accertamento della responsabilità quindi non potrà prescindere dall’effettuare tutti i passaggi ermeneutici sopra rammentati per valutare l’imputabilità del minorenne, intesa come autodeterminazione responsabile, e quindi sarà opportuno/ necessario vagliare la struttura del gruppo, la presenza o meno di un leader e, qualora presente, la capacità di leadership dello stesso, i mezzi utilizzati per attrarre o lusingare a sé i ragazzi e le ragazze minori di età. Di conseguenza dovranno essere valutate con la necessaria attenzione le condizioni socioambientali di provenienza del minorenne, il grado di istruzione ed educazione raggiunto, la tipologia di reato asseritamente commesso, il tutto correlato al contributo agevolatore fornito dal singolo o l’eventuale attività incentivante posta in essere dal concorrente morale, all’interno del gruppo di riferimento.    

 

 



[1] Maggiolini A., Pieni di Rabbia: comportamenti trasgressivi e bisogni evolutivi degli adolescenti, Franco Angeli, Milano, 2023; Maggiolini A. Riva E., Adolescenti trasgressivi: le azioni devianti e le risposte degli adulti, Franco Angeli, Milano, 1999 Pietropolli Charmet G. Amici, compagni, complici, Franco Angeli, Milano,1997;De Leo G., La devianza minorile, Carocci, Roma, 1998; Baraldi C. e Battaglia M., La violenza e i gruppi di giovani, in Labos, Giovani e Violenza, Edizioni T.E.R., 1998;Cloward R.A., Ohlin L.E., Teoria delle bande delinquenti in America, Laterza, Bari, 1968; Amerio P. et al., Gruppi di adolescenti e processi di socializzazione, Il Mulino, Bologna, 1990


[2] Galuppi G.- Grasso L., Infraquattordicenni: recrudescenza criminale e prospettive di modifica della normativa penale vigente, in Dir. Fam. Pers, 1993, p.747; Marinucci- Dolcini, Manuale di diritto penale, parte generale, V ed., Milano, 2015, p 387; Vigoni D, a cura di, Il difetto di imputabilità del minorenne, cit. Dunkel F., Il problema della criminalità minorile in Europa. Un confronto, in La nuova Giurisprudenza civile commentata, fasc. spec., Giustizia minore? La tutela giurisdizionale dei minori e dei giovani adulti, 2004; Moro A.C., Manuale di diritto minorile, IV ed., a cura di Fadiga L., Bologna 2008, pagg. 525 -526; Larizza S., Il minore autore del reato e il problema dell’imputabilità: considerazioni introduttive, in Il Difetto di imputabilità del minorenne, a cura di D. Vigoni, Torino 2016.

 


[3] CFR: Cerasa A., L’imputabilità del minorenne, in Diritto Penale Uomo, fasc. 11/2019


[4] In merito alla prova relativa al concorso morale si rammenta un recente e interessante approdo giurisprudenziale secondo il quale: “ la circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) non esime il giudice di merito dall'obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'art. 110 cod. pen., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà.” Cassazione penale sez. II, 13/10/2021, n.43067


[5] Seminara S., Sul «dogma» dell'unità del reato concorsuale in Riv. it. dir. e proc. pen., 2021, 789; Padovani T, La concezione finalistica dell'azione e la teoria del concorso di persone nel reato, in Riv. it. dir. e proc. pen.,2003,395; Pedrazzi, La disciplina del concorso di persone, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 1083; Piva D, Presenza sul luogo del reato ed effettività del contributo concorsuale, in Cass. pen., 2003, 1534; Bianchi M, Causalità e tipicità del concorso in delitto doloso, in Indice pen., 2012, 53.


[6] Savona U.E, Dugatto M., Villa E., Le gang giovanili in Italia, transcrime reserch in brief, serie Italia n 3, 2022. Da tale studio è emerso che i gruppi maggiormente presenti in Italia sono rappresentati da aggregazioni di giovani senza una struttura definita dediti ad attività violente o devianti, mentre le altre tipologie di aggraziane sono marginali. Si apprende anche  che le “gang giovanili”, (il termine gang giovanili, utilizzato nella ricerca per definire aggregazioni devianti di giovani operanti in Italia, lascia molto  perplessi in quanto, facendo riferimento a contesti socio ambientali molto diversi rispetto a quello italiano, e avendo un significato stereotipato, richiama aggregazioni di giovani, con una gerarchia e simbologia molto forte e precisa, dedite a crimini efferati e al capillare controllo del territorio nel quale operano) sono prevalentemente composte da meno di 10 individui, in prevalenza maschi e con un’età compresa fra i 15 e i 17 anni, nella maggior parte dei casi i membri di queste aggregazioni sono italiani. I fattori primari emersi, per identificare tali gruppi sono la gravità e la ripetitività dei reati commessi. I dati raccolti hanno permesso di evidenziare situazioni di marginalità o disagio socioeconomico per molti dei componenti, soprattutto stranieri, di questi gruppi di giovani. Gli autori della ricerca hanno anche evidenziato che molte caratteristiche di questi gruppi variano a seconda delle diverse aree del paese. Non è poi frequente rilevare la presenza di una gerarchia definita, di nomi o di simboli distintivi. Dalla già menzionata ricerca emerge come tra i fattori che spingono i giovani ad aderire ad una gang giovanile siano particolarmente rilevanti i rapporti problematici con le famiglie, con i pari o con il sistema scolastico, le difficoltà relazionali o di inclusione nel tessuto sociale e un contesto di disagio sociale o economico. Influente è anche l’uso dei social network come strumento per rafforzare le identità di gruppo e generare processi di emulazione o autoassolvimento. E’ doveroso citare anche un importante, organico e sistematico studio sui gruppi di adolescenti devianti in Italia, risalente all’anno 2001, condotto dal Dipartimento Giustizia Minorile, in collaborazione con il C.I.R.M.P.A. dell’Università La Sapienza di Roma. Da tali analisi emergeva che la presenza delle diverse manifestazioni del fenomeno potevano(e possono), in sintesi, essere classificate in quattro differenti tipi di gruppi giovanili: 1) Gruppi privi di una struttura definita prevalentemente dediti ad attività violente o devianti; 2) Gruppi che si ispirano o hanno legami con organizzazioni criminali italiane; 3) Gruppi che si ispirano a organizzazioni criminali o gang estere; 4) Gruppi con una struttura definita ma senza riferimenti ad altre organizzazioni e dediti ad attività criminali specifiche.